Se c’era un musicista che non poteva mancare in un festival dedicato al «Green», questi è Mario Brunello. Lo straordinario violoncellista ha portato l’arte dei suoni tra i grandi capolavori della natura dolomitica, ha suonato Bach tra le betulle dell’Etna innevato, è stato ambasciatore di Arte Sella e può capitare che declini un’intervista perché impegnato con la passata di pomodoro o nella raccolta del suo orto, un gioiello di cui va fierissimo. Sabato 6 aprile, al teatro Regio di Parma, presenterà «Un albero, una ciaccona» con Stefano Mancuso, del neurobiologo delle piante e direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale. E ha accolto con gioia l’invito del Festival della Green Economy.
Maestro, che albero sarebbe la Ciaccona in re minore di Bach?
«Un albero con un tronco possente e tanti rami frondosi: il tronco è la tonalità da cui Bach parte e da cui si diramano le altre tonalità in cui la musica modula nel continuo succedersi delle note. L’idea è venuta chiacchierando con Stefano: ci sorprendevamo di quante corrispondenze emergessero tra forma musicale e struttura vegetale; addirittura, entrambe possono ricondurre alla sequenza di Fibonacci. A un certo punto c’erano talmente tante assonanze che c’è voluto uno spettacolo per metterle in ordine».
Quanto si sente ispirato dalla natura?
«Col tempo la natura è diventata da ispirazione a luogo, ambiente dove far accadere l’arte. L’ho capito alla prima edizione dei Suoni delle Dolomiti. Concerto finito, sto riponendo il violoncello nella custodia e sento la voce di una donna che reclama e si lamenta: era venuta fin da Bergamo, aveva camminato per quattro ore sul sentiero, tutto, disse, per ascoltare la musica tra le montagne; era cieca, si era fatta accompagnare. Lì tutti abbiamo capito che non era venuta per ammirare il paesaggio, ma per percepire i suoni in una dimensione diversa dal chiuso della sala da concerto, una dimensione che più passa il tempo e meno riesco a definire a parole: una dimensione immensa in cui le note volano, riempiono spazi, e avvicinano chi suona e chi ascolta; una dimensione Bio».
Che cosa le ha insegnato la natura?
«Noi musicisti dovremmo avere ben chiaro il senso del tempo, eppure è davvero diventato una mia dimensione esistenziale durante un’Alba delle Dolomiti. Erri De Luca raccontava della sua prima scalata, io accompagnavo con intermezzi al violoncello; la prima parola quando la luce scheggia la punta della montagna dirimpetto il rifugio Alimonta, la parete che diventa una clessidra di pietra e viene illuminata completamente nell’esatto momento in cui Erri finisce».
Crede di aver insegnato qualcosa alla natura?
«Non dimenticherò mai di quando, suonando la terza Suite per violoncello di Bach, un gruppo di camosci, animali abitualmente schivi, scese verso di noi e si fermò ad ascoltare, fino alla fine. Però se ci pensiamo, gli strumenti musicali sono l’emblema di come l’uomo possa collaborare con la natura per creare bellezza e arte: il legno che diventa un violino, un violoncello, un flauto; strumenti a corda che hanno viaggiato nel mondo e hanno raggiunto la forma e il suono che oggi conosciamo quando Stradivari incontrò gli alberi di Paneveggio, sotto il Passo Rolle».
Lei ha sostenuto Arte Sella, sorta di museo en plen air con opere tutte realizzate con elementi viventi della natura, dagli alberi all’erba.
«Un successo straordinario, purtroppo anche “solitario”, isolato».