Siccità – quella del 2022 -, la caduta di una parte della Marmolada, piogge che scatenano il dibattito sul rischio idrogeologico, il crollo di un pezzo di montagna a Ischia, e poi da capo, nuova siccità, e nel 2023 alluvioni nella Romagna che fanno esondare praticamente tutti i fiumi del territorio. E così in avanti da anni. «Le nostre infrastrutture presupponevano un clima tutto sommato stabile. Oggi quel disegno ingegneristico non regge più: da qui dobbiamo partire per gestire il cambiamento climatico», sottolinea Giulio Boccaletti, direttore scientifico Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici e autore di «Acqua, una biografia», intervenuto nell’evento conclusivo della Parma Green Week di quest’anno proprio sul tema dell’acqua e della sua gestione.
«Siamo noi collettivamente con le nostre azioni sul territorio a definire che esperienza abbiamo con l’acqua. Quello dell’acqua bene comune è un grande equivoco. La molecola dell’acqua non ha nessun valore, quel che ha valore è averla dove serve, come serve, per gli usi umani, per questo possiamo dire che l’acqua è il prodotto dei nostri investimenti sul territorio, fatti in gran parte dagli enti pubblici. Quindi l’acqua non è bene comune, ma bene pubblico», dice Boccaletti.
A «interrogarlo» (così scherzano sul palco gli ospiti) sono in primis la giornalista Elena Comelli, ma poi anche le due ragazze di Parma Giovani 2027, Emma Bonati e Anita Riccardi. «Si deve trovare un nuovo modo di gestire l’acqua, cambiare approccio rispetto a quello degli ultimi 150 anni. Lasciamo stare l’ossessione con le perdite di rete: non c’entrano nulla con la siccità. Il problema è il sottodimensionamento delle infrastrutture».
A livello globale è diminuita molto negli anni la percentuale di persone che non hanno accesso ad acqua pulita. «La ragione principale del salto in avanti è la Cina: ha tirato fuori dalla povertà moltissime persone, dando a loro accesso a tutta una serie di servizi che prima non avevano, e questo ha avuto un impatto sulla media complessiva. Ma non dimentichiamo che ci sono ancora molti paesi che sono rimasti indietro. L’Africa, ad esempio, ha un grosso problema nell’attirare i finanziamenti per creare i servizi».
Il tema principale, secondo Boccaletti, non è la quantità di risorse idriche: è dove sono localizzate, perché il vero problema è che si trovino dove servono. «Quello che manca in questo momento, parlo dell’Italia, è una conversazione sul futuro, mentre si pensa troppo a proteggere il presente. Bisogna capire cosa servirà fra trent’anni per poi gestire il territorio di conseguenza. E a livello europeo, serve una definizione di natura, di biodiversità, altrimenti non sapremo mai in che direzione andare per proteggerle. Manca sintesi politica: ad oggi non sappiamo quale vogliamo che sia l’identità territoriale europea».