Giornale di Vicenza / di Maria Elena Bonacini
LA DEPURAZIONE. Opera non solo a valle della concia Acque del Chiampo, il cui depuratore compirà 40 anni ad aprile. «Il ciclo della pelle non è completo senza un depuratore in grado di sostenere i ritmi del distretto – afferma l’ad Andrea Pellizzari – e il festival è l’occasione per raccontare ciò che si fa anche in ricerca e sviluppo, su cui investiamo 2,5-3 milioni sui 46 di ricavi. L’impianto di trattamento dei fanghi completerebbe il circolo ambientale». Se il depuratore è un modello in Europa, il lavoro è ben più ampio, come spiega Mirco Zarlottin (R&S): «Stiamo valutando con le aziende quali siano i prodotti chimici più biodegradabili e anche i benefici e l’attuabilità del progetto di recupero del pelo». Un’idea che riprenderebbe un lavoro già fatto nel passato. «Oggi il pelo viene sciolto – spiega Daniele Refosco, direttore dell’impianto di depurazione – mentre se fosse recuperato solido potrebbe essere riutilizzato: diminuirebbe l’inquinamento dell’ac- qua». Cosa invece già riuscita riguardo al sale. «Moltissime pelli arrivato salate per la conservazione e questo sale finiva nell’acqua. Oggi le sbattono, lo tolgono e adeguatamente lavorato viene poi usato in caso di ghiaccio».
LA QUESTIONE DEL PELO. Un’operazione di recupero è anche quella fatta con il grasso di scarto, riciclato per ricavare biocarburante o saponi, dalla conceria Dani. Il presidente Giancarlo Dani auspica una collaborazione ancora più stretta con la Stazione sperimentale delle pelli: «La sede resti a Napoli, ma vanno creati due grandi laboratori in Toscana e qui, per far ricerca anche per le Pmi. L’accordo c’è, dobbiamo trovare spazi idonei». Sul progetto del pelo è invece scettico Paolo Girelli, presidente di Ilsa: «C’è bisogno di grossi investimenti da parte delle aziende e di definire chi raccoglie il pelo e dove si fa l’impianto. Se Acque del Chiampo lo realizzasse al suo interno noi saremmo disponibili, ma farlo qui sarebbe troppo complicato, per i problemi legati alle autorizzazioni, che in Italia nel campo del riciclo sono lunghe e complicatissime. La metà di ciò che finisce in discarica potrebbe essere recuperato, ma nessuno in Italia si prende la responsabilità di decidere e autorizzare». Il loro lavoro è altamente all’avanguardia, grazie alla collaborazione decennale con numerose università anche internazionali. «Trasformiamo gli scarti di pellame trattato in proteine pure al 98%, che vengono utilizzate come fertilizzanti nell’agricoltura biologica. A questo affianchiamo le biotecnologie per realizzare prodotti partendo da materiali di origine vegetale. E siamo l’unica azienda del nostro settore in Europa ad avere fatto l’analisi di impronta ambientale di processo e prodotto e stiamo lavorando a livello europeo perché questi diventino gli standard».
«VIA I PFAS». Impegnata sulla sostenibilità anche Samia, che crea prodotti per la finitura delle pelli e negli ultimi anni ha posto particolare attenzione a eliminare composti chimici particolarmente inquinanti come ftalati, formaldeide o pfas. «Oggi non si tratta tanto di rispettare le normative – sottolinea Raoul Sartori, manager di ricerca e sviluppo – ma di andare oltre, visto che sono i nostri clienti e i consumatori a chiedercelo». «Il futuro delle aziende italiane si fonda su questi temi – conclude Giacomo Zorzi, presidente Unic di Vicenza – Per questo abbiamo promosso un documento di sostenibilità per comunicare cosa significa questa parola, troppo abusata, per la concia».